L'intervista per il catalogo della mostra dei finalisti del Co.Co.Co.

24 Novembre 2011

Di seguito l'intervista fattami da Emma Gravagnuolo, pubblicata sul catalogo del Co.Co.Co. 2011.

Catalogo CO.CO.CO. 2011

Come osservi, come avverti, l'arte contemporanea?
Distrattamente. Non seguo in modo ordinato questo mondo, ma traggo informazioni da diverse fonti per ritrovarmi, infine, con delle nozioni sparpagliate e confuse che nell'insieme mi danno la percezione dell'arte contemporanea.

Chi sono i protagonisti dei tuoi lavori?
Sono soggetti di varia natura che vivono nella loro immobilità: non parlano, non comunicano con il volto (sempre celato), agiscono in un mondo ingabbiato da rituali privi di senso e circondati da simboli poco chiari o insignificanti. Si esprimono esclusivamente con la loro gestualità.

Qualche riga sul lavoro che ha partecipato al concorso…
Panem et circenses esce, concettualmente, dal sentiero tracciato dalle opere realizzate nello stesso periodo. Come in ogni mio lavoro, ci sono dei simboli che fanno capolino in alcune zone della scena e il soggetto è colto nel momento di ripetere un gesto ben preciso. Banalmente, potrei descriverlo come il ritratto di una persona che trova rifugio nei circenses, non percependo più dignità o stimoli nel modo di procurarsi il panem.

Cosa cerchi in un'opera d'arte?
Qualsiasi cosa che riesca a distogliermi dai miei pensieri e che mi faccia concentrare sull'opera stessa.

I tuoi maestri?
Impossibile individuarli con precisione: sono diversi gli autori che ammiro ma che spesso si collocano agli antipodi del mio pensiero. Però, non so come, in qualche modo anche loro alimentano la mia creatività.
Se devo fornire delle fonti di ispirazione più vicine alle mie immagini, penso ai racconti assurdi di Daniil Charms, alle poesia cinematografica di Andrei Tarkovsky e Federico Fellini, alle fotografie spiazzanti di Diane Arbus.

Il tuo museo preferito?
Sarò scontato, ma il Louvre possiede al suo interno tutto ciò di cui ho bisogno.

La tua galleria ideale?
Piccola, semplice, ben rifinita e correttamente illuminata. Ma a fare la differenza in una galleria non è il suo aspetto esteriore, bensì le persone che la frequentano e che dovrebbero trasformarla in un luogo di confronto e di scambio.

Il lavoro di un altro artista che avresti voluto fare tu?
Alcune serie fotografiche di Joel-Peter Witkin oppure gli ultimi lavori a colori di Robert e Shana Parkeharrison.

Il tuo primo incontro con i linguaggi contemporanei?
Sarà stato grossomodo nel 1998, quando rimasi colpito dalla potenza dell'arte digitale. All'epoca era poco considerata, ma cominciava a diffondersi più che in passato.

Cosa ti piace di questo mondo?
La libertà di espressione.

La cosa di cui vai fiero?
Di esser riuscito, negli anni, a portare avanti una ricerca personale e di aver avuto la possibilità di farla conoscere al pubblico.

Tre cose indispensabili.
Viaggiare, leggere, fotografare.

Come (o dove) ti immagini tra vent'anni?
Sono proiettato sempre su qualcosa da fare nell'immediato, mai nel lungo termine. Se penso a quello di cui mi occupavo solo cinque anni fa, mi rendo conto che è impossibile ogni previsione.

Un sogno per l'arte contemporanea?
Diventare materia obbligatoria nelle scuole elementari.